Controverse presenze
testuali nella bibliografia de 'Il dio alieno della Bibbia' di M.
Biglino
La lettura prosegue.
Il capitolo che mi
accingo ad affrontare è emblematico. Si tratta di una domanda: 'Lo
“Spirito”?' come sottotitolo del più asettico 'Ruach', il
Soffio.
È il Respiro di Dio,
quello che promana dall'En Soph dopo essersi contemplato nel proprio
Nulla (Qabbalah).
Si tratta di uno scontro
durissimo anche perché man mano che si avanza si entra nel
territorio sempre più appartenente a M. Biglino e lo sforzo per
contrastare la visione letterale dovrà essere maggiore di quanto si
pensi per due motivi:
- condizioni grammaticali e lessicali sempre più complesse
- convinzioni personali sempre più profonde.
Anche questo però è
recherche, cioè il rischio di mettersi in gioco.
Per 'ricaricare' le pile
prima di entrare nel vivo della diatriba terrò fede a quanto ho già
dichiarato all'Autore facendo un salto nella bibliografia, ricca e
variegata.
Vi ho scorto dei testi,
infatti, che conosco molto bene perché – al contrario del
lettering dove mi aggiro 'supportato' – questi sono gli argomenti
fondamentali dell'Eterodossia.
Entriamo dunque nel vivo
delle recensioni avanguardiste, territorio ben conosciuto da
Archeomisterica.
In rigoroso ordine
alfabetico incontriamo
- Custode della Genesi di G. Hancock e R. Bauval.
A che cosa dobbiamo la
presenza di CDG (acronimo del Titolo per comodità) nel panorama
delle avanguardie archeologiche e soprattutto egittologiche? A
quattro motivi fondamentali:
- un continuum logico con Il Mistero di Orione
- il tentativo di storicizzare passi importanti di Manetone a proposito dello Zep Tepi e degli Shemsa-Hor (l'Egitto diretto dagli Dèi)
- la dimostrazione dell'esistenza di una superciviltà, umana!, artefice della Sfinge (Horakty) a monito di un cataclisma probabilmente appartenente a ciclicità da indagare
- decifrare i comportamenti anomali di Mark Lehner e i suoi trascorsi con la Edgard Cayce Foundation a proposito dell'origine atlantidea del monumento in questione e relative conseguenze.
A chi però sperasse di
trovare 'aliens-connection' in CDG rimarrebbe deluso. Si, perché
tutte le opere di G. Hancock e soprattutto di R. Bauval vanno in una
direzione decisamente opposta: sottolineano e rivendicano
l'appartenenza all'Uomo di cotante vette architettoniche e non solo.
L'intera opera degli avanguardisti è colma di questa visione. La
recherche verte sul chiarimento, eterodosso, di un dilemma
atavico: è sostenibile l'origine dell'uomo retrodatata di parecchi
milioni di anni e la capacità di aver raggiunto adeguate cognizioni
tecnologiche e filosofiche che farebbero di perdute civiltà
ante-pleistoceniche vere fondamenta per la civiltà odierna?
Di origine assolutamente
umana...
Come a dire che Bauval o
Hancock gli Elohim li considererebbero raffigurazioni mitiche
di uomini al di sopra della media: uomini visti come Dèi. Uomini,
certo; non divinità inventate; ma anche non extraterrestri: il piano
è infatti il medesimo. Così come connessioni culturali
diversificate nel tempo e tra le civiltà conservano una linea
culturale sottesa unica, dunque di presunta provenienza 'divina',
sarebbero da smentire attraverso scetticismi più o meno convinti da
'mancanza di prove oggettuali più che oggettive, così le tesi
aliene altro non sono se non l'estremo opposto, sostenute da fede più
che da oggettuali ed oggettive prove. Indizi probatori, certo: ma di
che valore assoluto? In medio stat virtus, recitavano gli Antichi; la
medietà in questione è la grandiosità umana. Indiscutibile.
CDG è il testo delle
Origini, racconta di una civiltà, l'atlantidea, memore del
cataclisma pleistocenico la quale volle lasciare ad imperitura
memoria l'avvento del 10500 a.C. in un monumento particolare: Horakty
dall'originaria testa di leone in merito al suo orientamento con il
sole nel quadrante zodiacale del Leone in contemporanea all'effetto
di continuità tra il Nilo e la Via lattea (Nilo Celeste)
sull'orizzonte e di concerto all'allineamento dell'asterismo detto
Cintura di Orione appartenente all'omonima costellazione con i
monumenti della IV Dinastia, ovvero Rostau – 'Il Cancello delle
Stelle' – che altro non è se non il trittico piramidale di
Al-Jizah, intuizione fenomenale dell'ing. Robert Bauval che
troviamo subito dopo il testo appena descritto – in estrema sintesi
– dal titolo Il Mistero di Orione. In questo scritto, addirittura,
si parla dell'intera vicenda archeo-avanguardista del professionista
appassionato, le sue vicende personali in terra d'Egitto, il rapporto
con Rudolph Gantembrink e la realizzazione del robot 'Upuaut' -(Colui
che apre le Porte) - infilatosi nel 1993 in
uno dei condotti di Khufu scoprendo peraltro la famosa 'porta' dalle
maniglie di rame e probabilmente non trattasi neanche di porta ma di
un primo gate appartenente ad un meccanismo simile ad un
risonatore Helmoltz. In seguito si narra della notte 'newtoniana' di
Bauval in cui osservando il cielo rimbalzò lo sguardo dalla Cintura
al Trittico esclamando, di fatto, l'antonomastico 'eureka' da cui il
resto della teoria passata alla storia come TCO, acronimo per 'Teoria
della Correlazione con l'Orione', ben conosciuta in assise ortodossa
e non solo. I due testi appena citati sono legati a doppia mandata.
Vi sono riferimenti al dispotismo di Zahi Hawass, allora Responsabile
dei Beni Culturali ed Archeologici d'Egitto ed unico tenutario
Direttore della Necropoli Menfita (oggi in carcere dopo il crollo del
regime di Mubarak), esternazioni dell'egittologa eterodossa Jane B.
Sellers e citazioni da The Serpent in the Sky di John A. West.
Insomma l'uno è naturale continuazione dell'altro nonché il
principio sancito di una collaborazione tra Hancock e Bauval fino al
controverso 'L'Enigma di Marte' dove, peggio che nei precedenti,
Hancock utilizza uno strategemma fenomenale: divide il testo in due
grandi capitoli, dedicando l'intera parte prima del libro agli AOC
(Artificial Origins at Cydonia) ovvero la misteriosa presenza di
presunti monumenti marziani in cui, a partire dal Volto (molto simile
alla Sfinge, Horakty era anche chiamata Horus il Rosso ed era
connessa ai miti del pianeta Marte) ci si dipana in un'area posta a
19,5° N sulla superficie del pianeta in cui – inscritta in una
serie di architettoniche anomale per essere considerate
esclusivamente naturali – vi sarebbe una codifica appartenente ad
ogni scienza sacra umana; anzi: vi sarebbero proprio i parametri
della Scienza Sacra.
C'è un però: alla fine
della partizione iniziale Hancock sposa la visione della NASA (aldilà
di Sagan,. Di Molenaar e Di Pietro, di Carlotto,
dell'interessantissimo ed ancora dibattuto rapporto McDaniel) che di
fatto smentisce gli AOC e tutta la seconda parte del testo svela la
vera intenzione degli Autori: sottolineare il rischio effettivo di
catastrofi cicliche individuate dagli Antichi, vissute persino, e
solo ipoteticamente solidali con la scomparsa di una presunta civiltà
marziana. Ma è un problema, paradossalmente, secondario; l'intento
di quel libro è far capire che il sistema di scudo anti-impatto
riceve fondi inferiori ad una festa presidenziale USA e al contrario
si voglia mettere la 'testa sotto la sabbia ' piuttosto che ammettere
la pericolosità del nostro sistema galattico. Di civiltà aliene,
addirittura procreatrici e nascoste dietro i miti biblici o del Popol
Vuh e via discorrendo, poche se non tracce nulle. Citato anch'esso.
Credendo che fosse stato
tralasciato l'imponente caposaldo dell'avanguardia di Hancock eccomi
subito smentito: 'Impronte degli Dèi' fa la sua bella figura ma –
nel contesto in via di analisi – stona decisamente. 'La Ricerca
dell'Inizio e della Fine' come sottotitola Graham Hancock apre e
chiude una visione antropologica della storia e del mondo del tutto
diversa dalla presentazione convenzionale a cui siamo abituati grazie
alle convenzioni dell'Ortodossia; 'convenzioni' col tempo
divenute 'convinzioni' spesso aberranti alla luce di
osservazioni nuove nel panorama archeologico internazionale. È la
storia di un popolo misterioso, di una serie di civiltà sottese ad
altre che ne fece da sostrato rivelando il perché di moltissime
similitudini filosofiche, religiose, linguistiche e non ultime
tecnologiche. La convinzione profonda della Religio Universalis
nell'animo e nei ricordi, divenuti mitici e mistici, di ogni abitante
questo pianeta. Quasi un eco ancestrale, fossile nella psicologia
dell'Uomo che ne alimenta le domande di sempre sull'origine, il
perché dell'esistenza e l'oscurità del destino futuro. Alieni, ad
onor del vero, niente. Anzi, c'è un passo molto significativo in cui
l'Autore cita Maria Reiche la quale, paleontologa, ha impegnato più
di 40 anni nello studio delle Linee di Nazca spesso capisaldi di un
ufologia 'scontata'. Ebbene il laconico messaggio della studiosa fu:
'se gli alieni
dovessero atterrare sulle tracce dell'Altopiano... si
insabbierebbero...'.
Le tracce sono infatti
profonde una dozzina e poco più di cm e larghe non più di sessanta.
Hancock ipotizza che fossero possibili solo con determinata
tecnologia e soprattutto grazie all'ipotesi del volo preistorico ma
non ad opera di civiltà esoterrestri. No: frutto di un'umanità
perduta per motivi catastrofici e della quale, tranne gli indizi
probatori rimasti in moltissimi punti del pianeta, non se ne sa più
nulla. È questo il trait-d'union dell'intera opera che
procede da Il Mistero di Orione e arriva fino al dibattuto, ultimo,
Il Codice Egizio di R. Bauval, passando per Civiltà Sommerse e via
discorrendo: il Catastrofismo alla base dell'evoluzione
antropologica.
Gli Autori sono in pieno
accordo con i dettami dell'Eterodossia introdotta da un capolavoro
del 1969 ovvero il testo avanguardista per antonomasia che lacerò
le vesti ortodosse una volta per tutte: 'Il Mulino di Amleto' dei
compianti H. Von Dechend e G. Santillana, citato anch'esso nel testo
di M. Biglino.
Passato alla storia come
il 'Grande Ripensamento' è un testo fondamentale per capire l'intero
processo di revisione che colpì l'assise archeologica internazionale
ponendo come domanda assoluta se gli Antichi non fossero più in
relazione con la Natura, in special modo con il Cielo, padroneggiando
un'astronomia degna della miglior tecnologia odierna sia in campo
osservativo terrestre che astronautico. Se fosse possibile ammettere
ponti di terra ed allineamenti astronomici base di monumenti
incredibili come Tiwanachu o Angkor, allineata con il Draco e se mai
queste visioni si connettessero con una più antica visione della
storia umana stanca di essere turlupinata dalla speciazione di Mendel
o dalla teoria evolutiva di Darwin forse supportata dai rettili di
Galàpagos ma seccamente smentita dalla compresenza, convivenza,
scontro mortale tra Neanderthanlensis e Cro-Magnon Sapiens dove
quest'ultimi, secondo il celebre naturalista, dovrebbero essere
posteriori ai primi; invece i primi sono stati persino fotografati in
Africa, vivi e vegeti, dal Prof. Homet ('Terra Senza Tempo' - P.
Kolosimo – Mursia) con la chiara domanda scritta in volto: 'e
adesso...?'.
Una storia umana, dove le
proprie vicissitudini ogni uomo le ha vissute in concomitanza con
altri uomini e l'origine della sua intelligenza sta nel 'miracolo'
della differenziazione della vita ma soprattutto negli insegnamenti
provenienti da altri grandissimi uomini spazzati via da circostanze
apocalittiche che si perdono nella notte dei tempi di cui si
riconosce il vulnus nei miti.
Ma di alieni nemmeno
l'ombra.
Forse non vi sarà alcun
'Dio' preposto all'uomo; ma sicuramente è arduo accreditare a tale
impegno vaghi 'biocostruttori' dal vago teatro storico, dai
comportamenti però assolutamente beceri calati in un contesto orfano
di datazione, di cronologia degli eventi.
Un'analisi storica non
può prescindere dall'orologio: lo hanno insegnato proprio ne
'Il Mulino' i due docenti ricercatori.
Liberi di citare
qualsivoglia opera, è il sale della cultura; ma altrettanto liberi
di difenderle da sospette speculazioni letterarie.
È il sale dell'onestà
di pensiero.
Intanto si prosegue
nell'analisi del testo.
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