Di Fabio Marino, terza ed ultima parte
Volentieri pubblichiamo
LA BIBBIA E GLI ALIENI – MITOPOIESI MODERNA O NEO-EVEMERISMO SOSTENIBILE?
PARTE III – DISCUSSIONE GENERALE E CONSIDERAZIONI FINALI
Ci eravamo lasciati, nella seconda parte, con alcuni problemi relativi all’origine della “fusione” di El e YHWH nell’unica divinità nazionale degli Israeliti. Ora, è necessario chiudere la questione, almeno per quanto ci riguarda. Prima, però, vorrei fare una brevissima considerazione in relazione alla vexata quaestio di Elohim, già discussa nella parte precedente: quando si cita l’episodio di Cristo che “cammina sulle acque” del lago (Figura 1), parliamo di “acque” in senso plurale, oppure è semplicemente un modo di dire? Non credo che sia necessaria una risposta …
(fig. 1)
Il problema di El/YHWH, complicato dai numerosi attributi del primo (due per tutti, El Elyon, cioè l’Altissimo, e El Shaddai o Saddai, probabilmente “Signore della Montagna” –ma esistono numerose altre declinazioni del sostantivo El) si osserva anche nella Bibbia, dove, com’è noto, esistono almeno quattro “codici” letterari: E, J, P, D. Stiamo parlando della cosiddetta “ipotesi documentale”, secondo cui la Bibbia fu scritta, riveduta e corretta (come appare ragionevole ed ovvio) in diversi periodi e da diversi Autori.
(fig. 2) Una Bibbia ebraica
Ora, se il neo-evemerismo di taluni fosse adeguato a rappresentare correttamente la realtà, ci si aspetterebbe, naturalmente, che la fase E (Elohista), quella, cioè, in cui il nome di Dio è El o Elohim, fosse la più antica. In fondo, “gli” Elohim sarebbero prima giunti sulla Terra, e solo dopo uno di loro (YHWH o Jahvè, da cui la tradizione J o Jahvista) si sarebbe messo a capo del popolo ebraico: pare ragionevole, non è vero? E invece, la tradizione più antica è quella del codice J, risalente almeno all’XI-IX secolo a.C. Il codice E risale, a quanto sembra, “solo” all’VIII secolo a.C., ed è caratteristico del Regno di Israele (quello settentrionale, figura 3), la parte della nazione ebraica più propensa all’adorazione di altri dei, non fosse atro che per la forte influenza del potentissimo vicino assiro-babilonese, e tanto prona all’allontanamento dalla tradizione religiosa monolatra/monoteista, da essere il principale obiettivo delle invettive di quasi tutti i profeti, a cominciare da Osea.
(fig. 3) I due regni di Israele e Giuda (coesistenti dal 993 al 722 a.C.)
In più, esistono numerosi indizi di una sostanziale identità (anche etimologico-semantica) fra El e Baal, il vituperato dio fenicio-canaaneo. Gli altri due codici (di minore importanza in questa discussione) sono il Deuteronomista (guarda caso, prevalente nelle scritture originarie del meridionale Regno di Giuda, e base per la profonda revisione monolatrico/monoteista operata dal re Giosia nel 621 a.C.) e il Sacerdotale (P sta per “Priestercodex”), che raccoglie testi anche molto antichi, ma sviluppati solamente in epoca post-esilica (successivamente, quindi, al 587 a.C.). Che significato ha tutto ciò? Diciamolo in estrema sintesi (lo spazio è tiranno): dall’Egitto non vi fu alcun esodo, come confermato da numerosi ritrovamenti archeologici. Per lo meno, non nel senso che noi attribuiamo all’esodo. Infatti, sembra che gruppi isolati di quelli che sarebbero divenuti successivamente “gli Ebrei” (e, quindi, tribù canaanee) si siano stabiliti per un certo periodo (pari a forse uno o due secoli al massimo) nel Basso Egitto. La guida di Mosè, vissuto per lungo tempo in territorio madianita
(fig. 4) Il territorio di Madian
avrebbe ricondotto questi individui (valutabili in qualche migliaio, non certamente nel numero spropositato riportato dalla Bibbia, pari, solo per i maschi, a 650.000 …) nella patria originaria, nel segno di una “ricongiunzione” e di una fede unificante: quella in YHWH, che poi, “generally speaking”, si fuse con quella, tutta canaanea, del Dio unico chiamato El/Elohim, nei limiti di cui si è detto sopra. Resta da stabilire donde venga fuori “YHWH”. Un abbozzo di spiegazione c’è già nella parte precedente; ma ora entriamo (perché è importante, ai fini della nostra indagine) un po’ più in dettaglio, confortati anche dai ritrovamenti archeologici.
Si dà il caso, in effetti, che il nome YHWH (la cui vocalizzazione è sconosciuta, in realtà, ma è comunemente accettata come "Jahvè") non viene mai trovato nei testi e nelle storie canaanei, per cui nasce naturale la domanda di sapere donde abbiano derivato il loro Dio gli Israeliti. La ricerca archeologica delle origini di questa divinità conduce, inevitabilmente e piuttosto sorprendentemente, di nuovo nella culla di tutte le civiltà: l'Egitto. A Karnak, infatti, esistono numerosi bassorilievi che celebrano le vittorie del noto faraone Seti I, padre del grande Ramsete II. Ebbene, in una di queste opere celebrative, si ricorda la schiacciante vittoria del sovrano egizio sul popolo degli Shasu. Shasu è un termine dell'antico egizio usata per indicare popolazioni nomadi dell'area palestinese. Questa parola, evolutasi a partire dal verbo
š3š(w)
Per la prima volta il termine compare in una lista risalente al XV secolo a.C. riportante un elenco di popolazioni stanziate grosso modo nell’attuale Transgiordania. In questa lista, uno dei territori occupati dagli Shasu è indicato come "YHW, nella terra degli Shasu". Esistono diverse iscrizioni di origine nubiana attribuibili alla XVIII e XIX dinastia in cui è presente la frase “Shasu di YHW”. Un bassorilievo di Amrah può essere attribuito al periodo del regno di Seti I (fine del XIV-inizio del XIII secolo a.C.), mentre l’iscrizione probabilmente più antica è databile alla metà del XIV secolo, quindi al regno di Amenofi III (anche qui, suppongo sempre per caso, si verifica un’altra straordinaria circostanza: Amenofi III è il padre di Amenofi IV, il faraone eretico più noto come Akhenaton, primo monoteista della storia…). La sua origine è il tempio di Amon di Soleb:
t3 š3 sw y h wa (w) - ta Shasu Yehwa (Yehwa della terra degli Shasu).
Gli studiosi più cauti rimangono pressoché in stallo tra l’idea che una tribù edomita fosse seguace del Dio YHWH oppure che, per pura coincidenza, il nome di una tribù sia pressoché identico a quello del Dio degli ebrei. Ovviamente, esiste, sotto il profilo squisitamente teologico e religioso, una terza possibilità: e cioè che il Dio degli Ebrei si sia manifestato per la prima volta proprio in quel di YHW, mutuandone il nome; oppure, colà manifestatosi e rivelatosi, abbia conferito il Suo nome alla località.
Sia come sia, gli studi più recenti sembrano aver acclarato, oltre ogni ragionevole dubbio, che nessuna invasione della Palestina a danno dei Canaanei abbia mai avuto luogo; ad esempio, la città di Azor sembra essere caduta sotto i colpi di una rivoluzione interna, non di un attacco esterno. Ma di questi argomenti, semmai, parleremo un’altra volta; qui è necessario solo sottolineare l’aspetto sincretistico della religione El/YHWH: un solo Dio, più nomi, per coniugare tradizione e rivelazione mosaica.
Ed eccoci, infine, giunti al punto focale della discussione sull’insostenibilità della stravagante e poco originale “ipotesi” neo-evemerista di tanti Autori, attuali o passati. Intanto, bisogna precisare che stiamo parlando semplicemente di una ipotesi. Un'ipotesi è un'idea provvisoria il cui valore va accertato. L'ipotesi richiede quindi uno sforzo da parte dei ricercatori per confermarla o negarla, anche in assenza di dati sufficienti. Così, se io affermo che nella Via Lattea esistono 100 diverse civiltà, sto formulando una ipotesi, non una teoria. Una teoria, secondo la filosofia della Scienza, è un insieme collegato di ipotesi, enunciati e affermazioni aventi l’obiettivo, in generale, di spiegare un fenomeno o un’osservazione, oppure di formulare in maniera rigorosa, sistematica ed obiettiva i principi di una disciplina. Una teoria, per avere una valenza scientifica, deve essere falsificabile: si deve potere, cioè, ideare un esperimento che ne sancisca la non validità, come Karl Popper lucidamente indica.
(fig. 5) Karl Popper, filosofo della scienza
Già da queste semplici definizioni si comprende bene, direi, che nella discussione in corso non vi è assolutamente nulla di “teorico” in senso scientifico, ma solo ed esclusivamente un atteggiamento di fede in argomentazioni non suscettibili di falsificazione. Stiamo, insomma, parlando di fede! Ma v’è di più. Ammettiamo, come ipotesi (!) di lavoro, che la traduzione neo-evemerista della Bibbia (errata in più punti, come abbiamo brevemente dimostrato) rappresenti una teoria, e che dunque “gli” Elohim siano alieni, che la Bibbia racconti di un’invasione aliena o giù di lì, che YHWH fosse uno degli alieni “conquistatori”.
Una teoria che si rispetti deve poter fornire risposte e previsioni, in relazione al suo proprio enunciato. Non si può, insomma, dire: “Per me è così, ed è così fin qui; il resto vedetevelo voi”. Quindi, la “teoria” neo-evemerista dovrebbe rispondere con un certo grado di ragionevolezza, per non essere catalogata come una mitopoiesi moderna di probabile ispirazione hollywoodiana, ad una serie di problemi:
1 – da dove venissero tali alieni;
2 – perché siano venuti sulla Terra;
3 – come mai non se ne trova traccia nei testi e/o nei miti dei popoli circumvicini, come gli Egizi (probabilmente i più “interessati” ai fatti);
4 – quando sarebbero avvenuti tali accadimenti;
5 – come mai se ne sarebbero improvvisamente andati.
Mi fermo a queste sole domande, alle quali la Bibbia (tradotta letteralmente o no, e secondo qualunque codice si voglia utilizzare) non dà alcuna risposta. Faccio notare, però, che appare quanto meno arduo insistere su certe idee, soprattutto in relazione ai punti 3 e 4. Infatti, abbiamo visto che la stesura pressoché definitiva della Bibbia avviene intorno al VI secolo a.C. Ora, certamente essa è stata preceduta dalla trasmissione orale per parecchie generazioni. Non possiamo quantificare per quanto tempo; ma possiamo azzardare una valutazione. Accettiamo come sufficientemente accurata, per quanto riguarda la nascita dei primi racconti biblici (e quindi del molto presunto contatto alieno), una quadruplicazione rispetto al VI secolo? Arriviamo alla metà del II millennio a.C., la data ufficiale, più o meno, della costruzione delle piramidi di Giza. Aggiungiamo, per eccesso di scrupolo, un altro mezzo millennio, e stabiliamo così che intorno al 3.000 a.C. i progenitori degli Ebrei ebbero questo famigerato (più che famoso…) contatto con YHWH l’alieno. Stiamo parlando dunque –forse non è ben chiaro- della trasmissione orale, da parte di un’entità che non era ancora né popolo, né nazione, né stanziale (ma, anzi, del tutto scollegata e divisa) di uno o più racconti per la bellezza di circa CENTO generazioni. Davvero si può pensare di prendere alla lettera (anche se poi non lo fa nessuno, neanche i proclamatori della letterarietà del complesso biblico…) una serie di racconti distorti, deturpati e modificati per cento generazioni? E dove sono i segni degli alieni in Kemet, l’antico Egitto, che già all’epoca ipotizzata vantava un consolidato sistema religioso, uno stato centralizzato già “vecchio” di quasi 200 anni, e oltre 1.500 anni di documentata storia e protostoria predinastica?
Un ulteriore, breve aneddoto. In una cronaca leggiamo, testualmente: “Poi, avendo già compiuto molte opere immortali, mentre insegnava (omissis), eccoti con grande strepito e rimbombare di tuoni che un’improvvisa tempesta con una nebbia densissima lo cinse e lo coprì, tanto che a tutti gli astanti in seguito non riapparve più”. Sembra qualcosa di deja vu, non è vero? Qualcosa che i neo-evemeristi indicherebbero apoditticamente come l’ennesima prova del potere dell’alieno YHWH, insieme al “rapimento” di Elia o alla nota visione di Ezechiele, giusto? Oltre tutto, secondo qualche laico e libero pensatore YHWH non era altro che il dio della tempesta: che meravigliosa circostanza! Invece, nulla di più sbagliato! Infatti, ferma restando la possibile valenza clipeologica del brano riportato, esso non fa parte di alcun episodio biblico. Si tratta, molto più “semplicemente”, del resoconto della salita al cielo, fra gli dei, di Quirino, più noto con il suo nome di mortale: Romolo. Parliamo, quindi, di tutt’altro contesto, e di tutt’altra epoca (705 a.C. circa). Come la mettiamo? Non è forse meglio ipotizzare una sorta di archetipo comune a molte culture, anziché scomodare indimostrabili azioni da parte di alieni (di cui, a maggior ragione, non si comprende il significato)?
Insomma, per il disdoro dei sostenitori, sembra proprio che l’ipotesi neo-evemerista, da qualunque parte la si guardi, faccia acqua da ogni dove, e rappresenti nulla di più che una forma di mitopoiesi del giorno d’oggi: folklore urbano, in altri termini. Senza contare un’acuta osservazione di una mia corrispondente di Facebook: quella che viene spacciata come una ricerca frutto del libero pensiero appare, in realtà, come il riconoscimento, oserei dire masochistico, di un’Umanità che non è affatto libera, ma che nasce schiava di crudeli manipolatori tecnologici e genetici senza scrupoli, e che tale viene lasciata, senza neppure la speranza di conquistare la libertà. Se si pensa, poi, che un gigante come Galileo, padre fondatore della Scienza moderna e del metodo scientifico, affermò: “Nella Bibbia il Signore ci vuole rivelare come si vada in Cielo, non come vada il cielo” (Lettera a Cristina di Lorena, in: Le opere di Galileo, Firenze 1985, V, 319), si capisce bene quanto grande sia la presunzione di volere eguagliare, senza averne le capacità e la straordinaria grandezza, uno dei veri miti dell’era moderna, il primo traghettatore dell’Uomo verso la Scienza con la “S” maiuscola.
Bibliografia essenziale e minima (oltre la Bibbia):
Akhenaton, il Faraone del Sole, Cyril Aldred, Newton Compton, 1988;
Har Karkom – Montagna sacra nel deserto dell’Esodo, Emmanuel Anati, Jaca Book, 1984;
Il Libro dei Prodigi, Giulio Ossequente, Corrado Tedeschi Editore, 1976;
La Bibbia senza segreti, Flavio Barbiero, Profondo Rosso, 2010;
L’evoluzione di Dio, Robert Wright, Newton Compton, 2010;
Storia dell’antico Israele, John Bright, Newton Compton, 2002-2006.