Sempre di Fabio Marino. La seconda parte del precedente articolo volentieri pubblichiamo.
Nella
parte precedente abbiamo iniziato ad analizzare alcune dissonanze che inducono
a pensare che la “revisione” di cui è oggetto la Bibbia da parte di giovani
esperti ha poco a che vedere con un neo-evemerismo, ma è solo una mitopoiesi moderna. In questa seconda
parte, entriamo un po’ più in dettaglio, ed è altresì opportuno segnalare che la trattazione sarà volutamente di
carattere generale e non approfondita (ma comunque piuttosto accurata), per
facilitare la scorrevolezza del testo. Da ultimo, verranno esposte teorie certamente scientifiche ed accreditate
in campo internazionale, ma che non necessariamente e in tutti i casi
riflettono il mio pensiero. E cominciamo dalle fonti che vengono utilizzate per
avvalorare talune idee –diciamo così- un pochino azzardate. Iniziamo subito col
dire che l’idea di un “Dio” o di “Dèi” che fossero in realtà
extraterrestri non è nuova, né originale. Infatti, risale al 1973 (sic!) la fondazione, da parte di un ex-giornalista, Claude Vorilhon, rinominatosi Rael, di un movimento
a carattere religioso e “settario”.
Secondo il suo racconto,
Vorilhon sarebbe stato contattato da un rappresentante di una civiltà
extraterrestre, gli Elohim (quando si dice la coincidenza…), il 13 dicembre
1973, nel cratere di un vulcano spento vicino a Clermont-Ferrand. L’evoluzione
del Raelismo, ovviamente, non ci interessa in questa sede; ma è la prova che
un’idea-madre nasce 40 anni fa su basi presuntamente rivelate, e dà la stura ad una serie di
argomentazioni ed affinamenti al riguardo. Basti pensare che l'affermazione
cardine dei Raeliani e dei loro emuli attuali sarebbe che il genere umano (e
solo esso) sia stato artificialmente creato 25 mila anni fa da esseri
provenienti da un altro mondo; in linea puramente teorica, una tecnologia
sufficientemente sviluppata potrebbe essere in grado di compiere una tale
attività di ingegneria genetica. Peccato, però, che le moderne scoperte
biomolecolari rivelino una stretta affinità del genere umano in buona sostanza con ogni organismo vivente sulla
Terra, e nel suo genoma non siano presenti segni di alterazione genetica.
Ma la cosa interessante
è che i moderni pseudo esegeti, del tutto digiuni di lavori imponenti sulla
storia del popolo ebraico, dell’ebraismo e della sua letteratura basino le loro
costruzioni “bizzarre” su alieni ed extraterrestri non sui testi più antichi, ma sul testo masoretico. Parliamo,
quindi (e sia detto a chiare lettere) di un testo composto, edito e diffuso da
un gruppo di ebrei noto come Masoreti fra
il primo e il X secolo d.C.
In altre parole, laddove i più
prudenti fra gli esegeti biblici collocano la redazione pressoché definitiva
della Bibbia nel periodo della cattività babilonese (a partire dal 587 a.C.), costoro traducono (spesso arbitrariamente
ed in maniera errata, sintatticamente, etimologicamente e semioticamente) testi
SUCCESSIVI di OLTRE quindici secoli,
con tutto ciò che ne consegue: alterazioni dei copisti, errori dei
medesimi, aggiustamenti in corso d’opera, modificazione di termini dell’ebraico
antico, e, last but not least, perdita dell'effettiva pronuncia
vocalizzata delle parole. Come è possibile leggere “addirittura” in Wikipedia:
“Nel corso del tempo si sono sviluppate
differenze nella sillabazione e nella pronuncia non solo tra le scuole della
Palestina e di Babilonia (differenze già notate nel III secolo) ma nelle
varie sedi d'insegnamento di ogni paese. In Babilonia la scuola di Sura
differiva da quella di Nehardea; differenze simili esistevano nelle scuole
della Palestina, dove la principale sede d'insegnamento negli ultimi tempi era
la città di Tiberiade. Queste differenze devono essersi accentuate con
l'introduzione dei segni grafici per la pronuncia e cantillazione; e ogni
località, seguendo la tradizione della sua scuola, aveva un codice standard che
includeva le sue letture (il grassetto è mio).” Un ulteriore,
significativo esempio è il famoso tetragramma YHWH (comunemente letto dai non
ebrei come Jahvè), la cui lettura REALE è ormai sconosciuta agli stessi Ebrei,
che al suo posto da tempo immemorabile e per rispetto al nome di Dio leggono
Adonai, come nel famoso “Shemà Israel (שמע ישראל)”:
(“שמע ישראל י*ה*ו*ה אלהינו י*ה*ו*ה אחד”, e cioè: “Ascolta, Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è Uno”. La
frase contiene proprio il Tetragramma יה*ו*ה, come detto non pronunciabile, e quindi viene letta "Shema' Ysrael, Ado-nai Eloheinu, Ado-nai
ehad".
Ma
arriviamo alla “vexata quaestio” di El, Eloha, Elohim e variazioni sul tema, e,
visto che ci siamo, cerchiamo anche di identificare questo “alieno” di nome
Jahvè. Vi va di imbarcarvi in un viaggio che, per la necessaria tirannia dello
spazio, sarà superficiale e limitato, ma spero illuminante? Partiamo, allora!
Innanzi
tutto, chi erano gli Ebrei? Da dove venivano? Qual era la loro religione
originale? Contrariamente a quel che normalmente si pensa, e cioè che il popolo
ebraico abbia attraversato una prolungata fase di nomadismo a partire dall’alta
Mesopotamia (segnatamente, con ogni probabilità, da Harran) fino a giungere
alla Palestina, per poi spostarsi in
Egitto in epoca ancora imprecisata (ma comunque intorno ai primi secoli del II
millennio a.C.), i ritrovamenti archeologici più recenti assegnano agli Ebrei
un’origine meno “avventurosa”. Essi, in
effetti, avrebbero fatto parte proprio del popolo cananeo, con cui
condividono molte cose, a
partire (in una fase diciamo “proto-ebraica”) dalle credenze religiose. Vi sono molti segni, archeologici ed anche
nel testo biblico, di una fase (non sappiamo
quanto prolungata) di politeismo
da parte della futura nazione ebraica. Uno di questi segni è dato
proprio dalla persistenza di parole
come “Elohim” nel contesto biblico, che però nella redazione
definitiva assumeranno ben altra connotazione, come vedremo. V’è di più: la
prima volta che viene citato il nome di Israele è nella famos stele di
Merenptah.
Seguendo la regola
normale il testo viene letto "verso le facce degli esseri umani, degli
uccelli, ecc", cioè da destra verso sinistra. La traslitterazione è come
segue: y s r i ’
r/l (ysri’l: la somiglianza con
il nome "Israele" nell'ebraico è evidente); vi sono poi alcuni
elementi grafici (detti “determinativi”) che consentono di identificare un
“popolo di Israele” che è “straniero”. Si tratta del primo esempio, in
assoluto, dell'esistenza di un gruppo etnico chiamato “Israele”, il cui nome
contiene, indiscutibilmente, la radice (così comune a tanti termini ebraici)
“el”. Ma chi era El? El (il cui plurale è... El-im, non Elohim!) era la
divinità principale dei Cananei, segnatamente dei Cananei del Nord. Egli era il
Dio supremo di una strana assemblea divina, poco nota, ed il termine El si
riferisce alla Divinità in sé, in quanto tale. Dal termine El discende il
termine Eloha, che si riferisce alla Divinità in senso generico, e che
contempla un plurale usuale, come detto Elohim, con il chiaro significato (in
ottica cananea, s'intende) di “dèi”. Non può sorprendere, dunque, che
se (come gli studi archeologici e scientifici più accreditati dimostrano) gli
Ebrei furono, ai loro primordi, politeisti, la parola Elohim non può non
ricorrere nei loro testi. In ogni caso, poiché alcuni “studiosi” ritengono
evidente anche la “variazione sessuale” degli angeli in astronave che quei
“poveri primitivi” ritenevano dèi, va sottolineato che la “Asherah”
di cui qualcuno parla come sorella/moglie di Dio era un personaggio
esclusivamente cananeo, e, soprattutto, che in Ebraico non esiste una parola
equivalente a “dea”.
Tuttavia, con il passare dei secoli, Israele si avviò prima
alla monolatria/enoteismo, e poi al monoteismo. Che successe? Perché rimasero i
segni degli Elohim nel Sacro Libro? Per un motivo molto semplice: perché il
termine assunse le caratteristiche di SINGOLARE, non di plurale. In
effetti, per quanto riguarda il fatto che El sarebbe il padre di altri dèi, gli
Elohim, divinità minori maschili citati spesso nella Bibbia (o il “capo” di una
spedizione extraterrestre...), occorre tener presente che l'uso di un simile
plurale sarebbe né più né meno che una forma di "pluralis maiestatis"
o meglio plurale "di astrazione" (come più correttamente si
chiama in ebraico), allo stesso modo in cui, per riferirsi alla divinità
siro-palestinese di Baal (Signore, Padrone), si usava il plurale di rispetto
"Ba‘alim", o per Astarte si parlava di "Astarti" (Giudici
10:6). Insomma, il plurale (che diventa singolare perché il verbo che lo
segue è al singolare: una peculiarità della lingua ebraica) è rimasto sia
come “inconscia” reliquia dei tempi politeisti, sia per indicare la TOTALITA'
degli attributi della Divinità. Un'evenienza frequente nell'antichità, al punto
che anche nelle lettere di Amarna si trovano esempi analoghi. In quelle
missive, spesso il vassallo si appellava al Faraone definendolo “miei dèi, mio
dio sole”: in pratica, affermava che il Faraone era la totalità del suo pantheon.
Cosa dire, però, del
Salmo 82, citato nella prima parte? Senza scomodare Sant'Agostino, che già
1.700 anni fa aveva adeguatamente spiegato la parte “sospetta” del salmo (“...6 Io ho detto: "Voi siete dèi, siete tutti figli
dell'Altissimo. 7 Tuttavia voi morrete come gli altri uomini, e cadrete come
ogni altro potente"), tutte le principali correnti esegetiche
concordano nel ritenere che gli “dèi” di cui si parla sono in realtà i Giudici,
a cui era stata affidata dall'Altissimo (“El-yon”) la cura della giustizia, e
che in realtà stavano cadendo nella corruzione, abdicando di fatto al compito
loro affidato (“...3 Difendete il
debole e l'orfano fate giustizia all'afflitto e al povero. 4 Liberate il misero
e il bisognoso; salvatelo dalla mano degli empi. 5 Essi non conoscono nulla e
non intendono nulla, e camminano nelle tenebre tutti i fondamenti della terra
sono smossi...”). Da qui, l'osservazione che anche i Giudici, “potenti come
dèi” sulla Terra in virtù del Patto diretto con YHWH, sono in realtà soggetti
alla naturale legge della morte come tutti gli uomini. Se non bastasse, si
dovrebbe pensare in primo luogo al rapporto speciale che gli ebrei ritenevano e
ritengono di avere con l'Unico Dio. In quest'ottica, i Giudici sono “dèi”
perché chiamati ad amministrare la giustizia in conformità a quella contenuta
nella parola di Dio; in secondo luogo, l'esegesi cristiana del Salmo 82 prende
le mosse dal fatto che la Scrittura definisce "dèi" coloro ai quali
Dio rivolge la sua Parola. Si è innalzati insomma al rango di interlocutori di
Dio, quando Egli rivolge direttamente
la sua Parola, e in certo senso si viene resi simili a Colui che ci parla.
Inoltre, non bisogna dimenticare TRE elementi fondamentali:
1 – è fuori di discussione, sotto qualsiasi ottica, che il
Salmo 82 sia un attacco contro le magistrature corrotte. Dio pronuncia un’aspra
requisitoria contro i giudici responsabili di corruzione e di ingiustizia. La
sentenza pronunciata da Dio è severissima e nessuno può rifugiarsi
nell’immunità e nell’impunità;
2 – i fautori di ipotesi alternative dimenticano, regolarmente,
a) – che il Salmo POTREBBE contenere (come altre parti della Bibbia e
come già segnalato) elementi “tradizionali” di stampo politeista (cosa,
come detto, niente affatto sorprendente); b) – che esiste un ultimo versetto (regolarmente
ignorato e mai citato) che recita: “8 Sorgi, Dio, a giudicare la terra, perché
a te appartengono tutte le genti.”: è evidente, dunque, che il Dio di
cui si parla (e comunque lo si voglia chiamare) non è il “magister” di
una ristretta porzione di territorio e/o il “padre-padrone” di un singolo
popolo, ma il “Dominus” di ogni popolazione, per cui, in effetti, il Salmo
termina con la speranza che Dio, il vero Altissimo, prenda in mano la
situazione e ponga tutta l’umanità sotto la sua diretta giurisdizione;
3 - viene usata l'espressione "elohim" un titolo
che designa sicuramente potere ma che può essere utilizzato tanto per Dio
quanto per gli uomini. Infatti nel contesto del Salmo 82 i protagonisti
sono dei giudici, ovvero persone che erano caratterizzate da una certa
autorità, ed è chiaro il linguaggio sarcastico che viene utilizzato, perché
questi "elohim" in realtà erano dei giudici iniqui e per questo
motivo Dio li giudicherà.
Ma sottolineiamolo, una
volta di più: quando, nella Bibbia, si parla di “Elohim” intendendo “Dio”, è invariabilmente
al singolare il verbo che segue il sostantivo, rendendo perciò quest'ultimo
(per la grammatica ebraica) di genere singolare. Affermazioni diverse da
questa sono certamente quanto meno tendenziose.
Resta ora da
“interpretare” il ruolo di Jahvè in tutto questo. In effetti, la succitata
stele di Merenptah non ne fa cenno alcuno. Anzi, per secoli non esisterà alcun
testo che citi contemporaneamente Israele e YHWH! Sorprendente, invece, è il
fatto che esistano riferimenti egizi a YHWH ben prima della stele, e che
tali riferimenti sembrino essere connessi con una località, non con una
Divinità. Questo luogo pare esser posto nella regione meridionale di Canaan
(guarda la combinazione...), il che lascia facilmente supporre la nascita
sincretistica di un unica figura divina a partire dall'El del Nord (il futuro
Regno di Efraim o di Israele, caratteristicamente “portato” all'adorazione di
tutto quello che gli passava per le mani, al punto di essere il centro costante
delle invettive profetiche) e dallo YHWH del Sud, il Dio del patto, il Signore
degli Ebrei giunti in Egitto al seguito degli Hyksos e poi ritornati in patria,
con un Dio dal nome antico, ma dagli attributi nuovi. Attributi, tra l'altro,
spesso mutuati dai Madianiti (una tribù di cui era capo e sacerdote Ietro, il
suocero di Mosè), con connotazioni a volte simili a quelle di Aton, tanto da
lasciare spazio all'ipotesi freudiana sulla nascita del Dio ebraico. E che YHWH
fosse un Dio in un certo senso “nuovo” lo si evince dalla stessa Bibbia, in
quanto nella teofania del roveto ardente sull'Har Karkom
(che parrebbe essere il vero
Monte Sinai – ma di questo discuteremo in un prossimo articolo) la voce
dice a Mosè: “Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco,
il Dio di Giacobbe, ma a loro non mi sono rivelato con il mio vero nome”. Una
cosa va sottolineata: è probabile che il libro più antico della Bibbia non sia
il “Genesi”, ma proprio l' “Esodo”, che andrebbe perciò riguardato come la
storia dell'epopea di un popolo APPARENTEMENTE nuovo.
Cosa è accaduto, dunque,
al “Dio nazionale ebraico”? Perché questa idea di uno YHWH “extraterrestre”?
Che fine fa El? E che cosa è successo (SE è successo) davvero durante l'Esodo?
Infine, quali sono le considerazioni di carattere storico e logico che mi
spingono a... respingere l'ipotesi di un “neo-evemerismo”? Lo vedremo nella
prossima, conclusiva parte di questa rubrica (diventata troppo lunga); ma
qualche indizio, a là Ellery Queen è giusto fornirlo: pensate ad una
serie di dèi, che diventano uno, poi si sdoppiano in due per tornare ad essere
uno; pensate alle date accertate con una certa sicurezza dall'archeologia; pensate
allo scenario/scacchiere geopolitico della seconda metà del II millennio a.C.;
pensate ad un Esodo che non fu un'invasione. Come Ellery, anch'io sono certo
che siete arrivati alla soluzione del caso...